STORIA DI VERVÃ’ nei ricordi del maestro Francesco Gottardi e del prof. Giustino Nicoletti


Indice Prefazione Parte prima Nicoletti Giustino Angelo, il turista Home_sito
Parte seconda Francesco Gottardi Capitoli: 1 2 3 4 5 Vervodium

conclusione

Riflessioni sulla storia di Vervò:
dal passato al futuro impegnandosi nel presente

di Comai Piergiorgio

 

Oggi viviamo in un momento di democrazia che sta diventando maturo e consapevole. Se non ci fosse la difficoltà primordiale di badare agli interessi comuni, come si proclama, per adattarsi agli interessi egoistici che inconsciamente forse tanti curano in via prioritaria, potremmo dire che le scelte sono libere, poco condizionate da strette necessità economiche. Teoricamente queste libere scelte dovrebbero dare rappresentanti che lavorano a leggi che aiutano nella crescita la società sempre più complessa con inevitabili sbagli. La realtà non è tanto rosea, spesso per pigrizia o per convenienza le scelte sono poco coerenti ai principi conclamati. E le analisi, secondo me, si accontentano di motivazioni di comodo o semplice constatazione del disagio esistente. Si sente dire che la frattura fra il popolo sovrano ed i suoi rappresentanti si fa sempre più profonda ed il popolo fa scelte che non considerano un valore il controllo della coerenza dei suoi rappresentanti alle linee programmatiche proposte, non fa nulla per sanare la frattura fra "gente" ed eletti, crede ai super uomini che regolarmente ne approfittano. Ci si rende conto che molti tendono al potere per interessi personali e si reagisce cercando fra questi super il protettore, o unendosi in corporazione che curi i propri interessi individuali anche se sono in collisione con principi di coesistenza e complementarità di tutti. Esprimersi in disaccordo con le tendenze di moda è virtù di pochi, senza saperlo molti si adagiano nel sentire dei più e qui ha buon gioco l'informazione ed il dominio dei mass media che ti fanno passare per sentimento della maggioranza quello che invece è il loro virtuale pensiero entro cui sanno trovarci le convenienze, ma non per tutti, per le loro ambizioni, per i loro interessi. Il sentire comune è poi quello di rifugiarsi nel ricordo dei bei tempi andati e non si contano le celebrazioni di momenti del passato promossi dalle autorità, magnificati oltre il decente, per dare alimento a questo mito delle "età dell'oro, età del comune rustico". Anch'io sono affascinato del passato, ma in esso non cerco il tesoro, né l'eroismo degli stenti, piuttosto i modi del vivere quotidiano, i rapporti fra le varie componenti di quella società immersa in un ambiente sconosciuto, alle dipendenza della forza della natura, scarsa di fonte energetiche e ci vedo una società più o meno come la nostra: il forte cerca di tenere sotto controllo il debole, il debole cerca di arrangiarsi, il controllo sociale è stretto, la mobilità è nulla, le decime e le colte e le collette, ed i riparti sono da pagare. Chi svolge il compito di esattore di tasse e balzelli di solito non sta meglio dei debitori. Le autonomie della camunità deve trovare al suo interno i modi di assolvere a queste incombenze. Il lavoro di controllo e di raccolta delle imposte è poco gratificante e pertanto molti sarebbero portati a schivarlo: ecco allora che si pensa di dare gli incarichi a ruota come si fa in qualche scuola con gli alunni (esercizio di democrazia). Malgrado tutto il sistema funziona e grosso modo tutti si rendono conto al loro turno di ruota, come sia difficile sorvegliare e far rispettare le leggi. Nei piccoli paese, forse, sarebbe utile anche ora costringere i vari cittadini a gestire la cosa pubblica a ruota. Così divisi e piccoli le cose da decidere sono poche, basterebbe il segretario, sono cose che non incidono quasi nulla nei rapporti più vasti. Invece tu vedi che anche qui si tende a mantenere le caste di chi comanda e di chi obbedisce e poi ti trovi il codazzo di quelli che rinunciano a pensare e si appoggiano al buon animo, alla benevolemza dell'amico che "conta" nel caso serva che si chiudano gli occhi sulle regole comuni.

Se guardiamo al passato, al secolo XVIII per esempio, nella piccola società ristretta della Magnifica Comunità di Vervò, cosa possiamo argomentare in merito alla democrazia?

L'organo legislativo sovrano era formato dai capi famiglia (i fuochi) degli abitanti con diritto di regola (i vicini) riuniti in assemblea generale o secondaria al pra del Zocel o sulla piazzetta del sagrato della chiesa di santa Maria (o nel piazzale del Luca Gottardi - ora zal Bòzza).

Il documento fondamentale che regolava la vita semplice della comunità era la Carta di Regola, approvata nei suoi articoli dal Vescovo, rinnovata e adattata nel corso degli anni cominciando dal lontano 1400. Un secondo e singolare strumento legislativo che indicava lo svolgersi ordinato della vita di ogni giorno era il Privilegio della Banca del pane o Fontico.

Per quanto riguarda la vita religiosa è importante il documento che autorizzava l'esistenza diun cappellano a Vervò (anno 1513) che esercitasse per quattro giorni in settimana, con le clausole restrittive di pagarselo e di continuare a contribuire alle spese di gestione della chiesa madre di Torra; venivano poi elencati i rapporti da tenere con l'Arciprete e la presenza dei fedeli di Vervè in determinate occasioni nella chiesa di sant'Eusebio. Un'autonomia costosa direi, altro che una autonomia che riceve dall'esterno come la nostra trentina.

Ѐ ovvio che ogni documento e deliberazione legislativa doveva essere approvata dalla Eccellentissima Superiorità di Trento con relativa tassa e giuramenti di sottomissione e dichiarazioni di Servi Umilissimi.

Sotto l'aspetto amministrativo la comunità era retta da due giurati o regolani minori che si alternavano ogni anno, tenevano e presentavano i conti all'assemblea e la rotazione era prestabilita ed esaustiva delle famiglie che godevano di vicinato. Essi avevano il compito di curare lo svolgimento pacifico della vita nella comunità col provvedere al toro e al montone, a far osservare i regolamenti, a raccogliere le tasse in gran parte in natura, a mantenere custodito il grano raccolto, a provvedere in casi di necessità al sostentamento della popolazione, al pagare i servizi religiosi verso il cappellano, il pievano ed il vescovo e contrarre debiti per tutti o collocare disponibilità di cassa in prestito a ce ne avesse bisogno. Se sbagliavano pagavano in solido ed è per questo che soltanto chi aveva sufficiente patrimonio era considerato vicino. Altro compito grande era di badare all'integrità dei confini del territorio e degli eventuali diritti sul territorio altrui.

Per il controllo del rispetto delle proprietà comunali e allodiali individuali della campagna e della montagna erano funzionanti due saltari e per la stagione dell'uva si aggiungeva il saltaro "dell'ua". Dopo due incendi distruttivi fu attivato anche un saltaro del fuoco. Erano incaricati a ruota con tocco dei vangeli altre persone che aiutavano nelle dispute fra confini o diritti reali.

Per la raccolta delle decime esisteva il decimano che dipendeva da chi aveva in appalto l'esazione di questa tassa, ma ne rispondeva la comunità nel suo insieme. Per la raccolta di altri balzelli provvedeva uno dei giurati o altri incaricati che giuravano e dovevano rendere conto. Nella comunità avevano grande importanza i fabbricieri della Chiese, capi appunto della Fabbrica di san Martino, di santa Maria, della cappella dei santi Fabiano e Sebastiano. Dovevano gestire i lasciti di molti offerenti per il bene delle loro anime, concedere prestiti in danaro a persone momentaneamente nel bisogno con ipoteca sua terreni o immobili di proprietà, riscuotere e rinnovare gli affitti dei fondi e dei soldi, provvedere alla manutenzione e abbellimento della chiesa, specialmente dopo la visita pastorale e la visione dei decreti visitali che indicavano gli interventi da effettuare per strutture e suppellettili. Questi incaricati di durata annuale figuravano come testimoni o arbitri nella stesura di importanti documenti della comunità. Questo servizio per le chiese era svolto a ruota e vi partecipavano anche i semplici "incolae" o abitanti senza proprietà immobili (i "foresti" - abitanti a Vervò). I regolani giurati decretavano pene o multe ai contravventori di regole. Nella Comunità di Vervò il sindaco di san Martino fungeva da regolano maggiore ed agiva come giudice di prima istanza per cause sotto le cinque lire. Il regolano maggiore era l'autorità massima locale dopo l'arciprete (Un pievano autoritario fu l'arciprete Mazza). In molte comunità questo incarico era affidato dal vescovo o dalle autorità imperiali a eminenti personalità o nobili della zona. La comunità di Vervò godeva del privilegio di affidare detto incarico al sindaco di san Martino. Alcune multe davano a questo personaggio la metà dell'incasso e se doveva intervenire le multe venivano raddoppiate. Nell0archivio comunale esistono i libri ed i quinterni della reso dei conti dei giurati di tutto il secolo XVIII dai quali è possibile rendersi conto di alcune tipiche scadenze che segnavano il decorrere dell'annata nella vita della comunità e che si ripetono quasi immutate sia come tempi che come modalità e valore di spesa.

Una sera verso la metà di gennaio il saltaro passa per le vie della villa con la sua tromba. Suona e, ad alta voce, grida che all'indomani si terrà la regola della resa dei conti e che tutti i capi famiglia avevano la facoltà di intervenire.

Il mattino seguente l'altro saltaro compie un nuovo giro per convocare la regola. Dopo pranzo nella casa del giurato che ha tenuto i conti dell'anno precedente si riuniscono vecchi e nuovi regolani, i sindaci delle chiese di santa Maria e di san Martino e vicini chiamati a testi ed altri desiderosi di assistere. Talvolta la riunione veniva fatta nella casa della canonica e più tardi nella stufa della Scuola.

Uno che ha dimestichezza nello scrivere elenca ad una ad una le voci del Ricevuto e dello Speso. Dopo di che sono controllate le pezze d'appoggio, specialmente l'elenco delle prestazioni dei due giurati che ordinariamente si vedono decurtare il richiesto rimborso. Alla fine si controlla il magazzino del grano per la consistenza del grano, segala, formento, formentaz, miglio, e delle monete del saldo e la presenza dei documenti antichi e nuovi se ve ne fossero fatti. Nel caso vi fossero delle mancanze veniva stabilito con quali scadenze i vecchi giurati dovessero dare ai nuovi i corrispettivi mancanti in natura e in moneta. Al termine tutti i giuramentari firmavano come approvazione o "laudo". In più di un'occasione succedeva che si leggesse una croce o il segno e bollo di famiglia quale attestazione di uno che non sapeva scrivere, controfirmato da testimoni. I giurati, infatti, per l'istituto della ruota, non avevano carattere elettivo, ma dovevano accettare tutti il loro annuo mandado. Confermata con giuramento la designazione a ruota, ai nuovi incaricati toccava il compito di utilizzare le proprie risorse mentali e di fattivo interessamento per il bene comune per un anno. Non serviva che uno sapesse scrivere: essendo un vicino sapeva sicuramente pensare e ... in caso contrario c'erano le sue sostanze che facevano garanzia dei suoi errori. L'incarico ai compiti giurati era obbligatorio ed era considerato un nobile impegno di servizio alla comunità che comportava onore, stima, rispetto e aggravi, fatica, tempo dedicato alla comunità e tolto agli affari familiari per un anno. Nel settecento e prima tutti i capifamiglia dovevano accettare di svolgere le cariche che loro spettavano secondo il turno o roda. Se qualcuno non si sentiva all'altezza doveva provvedere, con accordi personali, a presentarne un altro a suo nome rimanendone garante in solido. Nel caso non avesse indicato il nome del suo facente vice e volesse rifiutare la giuraria, doveva pagare una moneta di 15 ragnesi, cioè l'equivalente di oltre 50 giornate di lavoro.

C'è una fontana in Aurì da tenere in ordine e il Brenz nella piazza e il Poz. In primavera il gelo potrebbe avere smosso le pietre di contorno o rotto i "cannoni" di legno (tubature). Il giurato provvederà alla sistemazione procurando i materiali e incaricando gli operai competenti. I primavera si avverte imminente pericolo di "bruma" (gelate)? Si facciano suonare le campane per avvisare i vicini. E per questa stagione deve essere pronto il pastor delle capre, quello delle pecore, delle armenta e ...dei ruganti (maiali).

La Quaresima è iniziata e bisogna provvedere ad accogliere il predicatore ed il suo servitore, preparare la partecipazione alle quaranta ore

Il monego poi deve badare al funzionamento dell'orologio ed a suonare i Padrenostri del Venerì e gli altri momenti della giornata per il solito compenso. Bisogna ricordarsi di provvedere al pagamento della quota parte per i monegi di Torra. Arriva il Corpus Domini e il regolano o consocio deve provvedere alla polvere da sparo e alla squadra degli sparatori e che ogni schioppo sia funzionante. Bisogna preparare le processioni d'uso (terza Domenica) e alcune particolari per implorare la pioggia nei periodi di siccità estivi. A questo fine sono da pagare i compensi e regalie a chi porta i misteri (croci e gonfaloni) per il curato, per il pievano talvolta e per i pasti relativi.

Ѐ consuetudine pagare i frati zoccolanti di Mezzotedesco quando passano per la questua, dare 5 troni alli "cingani" e la carità ai cercanti o ebrei o turchi fatti cristiani, Ci sono le discussioni con l'arciprete, coi paesi confinanti per l'integrità del territorio e dei diritti, i rapporti coi cittadini e l'interpretazione delle regole. Si dà incarico in regola a un notaio del paese o dei paesi vicini per eseguire ricerche di vecchi strumenti o atti notarili, per predisporre istanze, accomodamenti che evitino liti. Nei casi più complessi la difesa della comunità è affidata a persone competenti e disponibili in regola generale elette e fatte giurare come sindacario con compiti fissati. L'inizio di una controversia o l'accettazione di parziali o completi accomodamenti vengono approvati o respinti in pubblica regola.

Le persone della villa hanno bisogno di legna, "dasa" (frasche di conifere), erba. Sono da preparare le sorti assegnate ad ogni vicino per periodi e con modalità diverse. C'è poi da assegnare annualmente per mezzo di asta pubblica il fontico del pan, della malga al Pra del Lavachel, di qualche lotto o qualche terreno comunale, del "lin" (fanghiglia con sostanze organiche) del Laç. Bisogna riscuotere la tassa del taion stabilita dall'assessore delle Valli, la colta principesca. Dopo il 1750 è istituita una tassa patrimoniale di un carantano per ragnese di patrimonio (di qui l'importanza di un catasto aggiornato).

Ci sono da raccogliere soldi o grano per le spese comunali e per la curazia e badare alla conservazione del grano stesso. Le spese toccano in parte intera ai vicini e ridotte a metà per gli abitanti "furesti", cioè non vicini.

Nel 700 le famiglie dei vicini variano da 50 a 60 nuclei familiari, e quelle dei furesti da 20 a 30.

Se alcuni di questi sono poveri, come ad esempio le vedove con figli, allora vengono esonerati dal pagamento di queste metude.

Il Beneficiato Bertolino ha l'obbligo di celebrare la Messa prima, per questo incarico riceve .... le rendite del Beneficio per ogni anno con l'obbligo di celebrare la sessantina di messe per l'anima del fondatore e dei suoi famigliari. Il curato a differenza di prima, non riceve stipendio, ma solo il pagamento di messe e cerimonie e incarichi particolari come l'insegnamento.

Non si ò dimenticare poi la riscossione dei censi attivi ed il pagamento di quelli passivi.

Se l'annata è normale il bilancio è ridotto a poche centinaia di ragnesi. Purtroppo all'inizio del 1700 si era svolta la lunga guerra di secessione che vide lo stanziamento di soldati in valle a spese dei principi, ma in primo luogo dai singoli comuni con eventuale recupero più tardi. Così si dovette spesso ricorrere a prestiti anche consistenti, a rincarare le tasse, a cedere terreni di montagna e di campagna.

Sono molti gli interventi ed opere: per le funi delle campane e per i gioghi, per i tetti delle chiese di Vervò e di Torra, per la canoniche, per gli altari di san Martino, per le croci, i capitelli, per la fabbrica del campanile che impegnò la comunità dal 1770 al 1800, per cause giudziarie e perfino una causa per l'orologio.

Come si vede la struttura organizzativa era ben definita e funzionale alle esigenze del tempo; essa richiedeva la partecipazione di tutti, anche da parte di chi ne avrebbe volentieri fatto a meno. I tempi sono cambiati, le esigenze attuali sono totalmente diverse, richiedono rapporti di integrazione fra territori sempre più ampi, non semplicemente la difesa puntigliosa dei propri confini ed un buon ordine interno. Un insegnamento che potrebbe essere utile è quello di trovare il modo di far partecipare ogni cittadino (magari anche i foresti) alla gestione della cosa pubblica: ma pare che ciò non interessi molto le "autorità" democratiche che preferiscono di parlare alla "mia gente", ai propri clientes e rendere conto il meno possibile a cittadini consci di essere depositari "del potere" come recita la nostra cosituzione. Il fatto della partecipazione non interessa molto neppure alla maggioranza die cittadini visto che i votanti (minimo segno di partecipazione) sono sempre meno.

Pensare al passato è generalmente appagante e piacevole; io aggiungerei che è doveroso purché non ci silasci prendere dalla retorica, ma sia un trovare la forza per capire e mettere in pratica le cose buone che il passato ci può dare. Pensare al passato per costruire il futuro giorno per giorno sapendo che esso dipende da ciascuno di noi più che dalle autorità.

 


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