STORIA DI VERVÒ nei ricordi del maestro Francesco Gottardi e del prof. Giustino Nicoletti


Indice Prefazione Parte prima Nicoletti Giustino Angelo, il turista Home-sito
Parte seconda Francesco Gottardi Capitoli: 1 2 3 4 5 Conclusione

Vervodium

Vervò, Vervodium – Castrum Vervassium
Il paese castrum Vervassium e l’arrivo dei legionari romani
Storia e leggenda – Passato, presente e futuro.
Economia: agricoltura, allevamento bestiame, villeggiatura.

di Francesco Gottardi

Vervò è un modesto e grazioso paesetto della valle di Non. Giace sulla destra del corso superiore del rio Pongaiola, affluente di sinistra del torrente Noce, ai piedi della Predaia a 889 m/slm. Sorge su una dorsale stretta fra il Rio Pongaiola e la vallecola del rio Ponticel, in luogo così appartato e chiuso che vi appare allo sguardo solo quando gli siete quasi addosso.

Si direbbe che i suoi primitivi abitanti furono necessariamente obbligati a stabilire qui la loro dimora, perché ultimi arrivati in questa magnifica valle tanto ricca di luoghi ameni. Invece tutt’altro: Vervò è l’antico Vervodium, uno dei più antichi paesi dell’Anaunia. Infatti quando 2000 anni fa arrivarono quassù i legionari romani il paese esisteva già da qualche secolo e costituiva un centro abitato importante per quei tempi. I Romani occuparono l’antico castelliere in località ora detta San Martino, la primitiva dimora della gens Vervasses. Il luogo selvaggio e forte, dominante i dintorni e la bassa Val di Non, ai rudi soldati dev’essere piaciuto: il vessillifero piantandovi l’insegna di Roma imperiale ne prese possesso pronunciando la formula: “Qui si sta ottimamente”. Infatti vi stabilirono una stazione militare con presidio permanente e costruirono il Castrum Vervassium: in una posizione quanto mai adatta, già usata dai nativi come “castelliere”. È una lingua di terra pianeggiante larga alla base 150 m e che si protende per 200 m a forma di promontorio difesa ai lati e frontalmente dagli orridi burroni della Pongaiola. Il lato nord fu sbarrato dal fortilizio che si stendeva ad arco da un burrone all’altro rendendo la posizione imprendibile. Nell’interno una via segreta scavata a gradini nella iva roccia permetteva in caso d’assedio di comunicare con l’esterno. Il castello costituiva una stazione militare a guardia della strada romana interna che partendo da Riva va a congiungersi a Maia con la famosa via Claudia. I legionari romani donarono ai nostri leggi, lingua, religione, costumi, civiltà, cittadinanza romana e lor semenza.

Veramente cospicuo e il materiale antropico rinvenuto a Vervò. In castel Brughiero si conserva una bella ara al dio Marte, un’ara sacra alla Concordia Augusta e un’iscrizione sepolcrale di Quintino di Vervò. Altre quattro lapidi si trovano nel museo Lapidario di Verona, illustrate dal Maffei, dal Campi, dal Reich, dall’Inama, dal Rosetta e dal prof. Roberti insieme ad altre sei purtroppo smarrite, e ad una quantità di oggetti vari che si conservano nel museo archeologico del Castel del buon Consiglio. Una leggenda narra che nel castello di Vervò sia stata relegata Giulia, figlia dell’Imperatore Ottaviano Augusto per i suoi illeciti amori con Ovidio esiliato a Tomi in Pannonia (nell’anno 9 D.C. - ora Costanza sul Mar Nero in Romania) per lo stesso motivo. Quando una sessantina d’anni fa si rinvenne nei pressi del castello una tomba romana contenente uno scheletro femminile, un paio di orecchini e una spilla d’oro di pregiata fattura si disse: “Ecco la tomba di Giulia – Come, quando, per opera di chi? questo antico castello fu distrutto non si sa: nessuna memoria, nessuna tradizione. Al tramonto della dominazione di Roma, anche a Vervò scese oscura, impenetrabile la notte del Medioevo.

Vervò sopravvisse alle invasioni barbariche e si sviluppò e di affermò tanto che nel secolo XV aveva di certo superato per numero di case e di abitanti la consistenza che ha al presente, quando uno spaventoso incendio le distrusse completamente. A proposito di questo luttuoso avvenimento la tradizione narra. Era tempo di carnevale e nella casa di certo Gottardi, non meglio specificato, si festeggiava un matrimonio. Verso la mezzanotte, mentre sull’aia fervevano ancora le danze e l’allegria era giunta la colmo, tre individui mascherati e armati che assomigliavano in tutti a dei pagani (?) si presentarono e sene stavano rigidi e immobili senza parlare, in atteggiamento spavaldo sulla soglia. Le musiche s’arrestano, le coppie si sciolgono, ammutoliscono e guardano con l’animo sospeso e trepidante i tre misteriosi personaggi. L’angoscioso e imbarazzante silenzio fu rotto finalmente dallo sposo che fattosi avanti domandò agli sconosciuti che cosa volessero. Il più spavaldo dei tre chiese di poter fare un ballo con la sposa. Gli fu risposto che gli sarebbe stato acconsentito qualora i nuovi ospiti si fossero tolte le maschere. Ma l’oscuro personaggio pronunciò un no secco ed aggiunse: Oggi balli e canti, domani sospiri e pianti. I tre abbandonarono la sala lasciando i presenti esterrefatti. Poi girò lo sguardo sospettoso sui presenti e si ritirò seguito dai suoi due accompagnatori. Inutile dire che la festa fu sospesa, gli invitati raggiunsero le loro case sotto l’incubo di una oscura minaccia. Alcune ore dopo, quando tutti dormivano, tre incendi divamparono simultaneamente in tre punti diversi del paese che ne rimase completamente distrutto.

Probabilmente si deve attribuire a questo luttuoso avvenimento se di Vervò non rimane nessun documento: tutto fu incenerito: scritti, documenti, registri, memorie. (Di certo fu una vendetta che qualche dinasta che voleva esercitare il barbaro diritto di prima notte sulla sposa). Fu salvo il complesso dei fabbricati del bel San Martino e alcune pergamene del secolo XI e XII (XIII piuttosto) che ivi si conservano ancora. San Martino, luogo quanto mai romantico e suggestivo, comprende la chiesa dedicata al Santo, attorno alla chiesa il cimitero, la cappella dei santi Fabiano e Sebastiano dove si conservano (sono esposti sulle pareti) molti ex-voto per grazia ricevuta, alcuni dei quali interessanti perché riproducono i costumi e le vicende di quei nostri lontani antenati del XV secolo e successivi fino ai nostri tempi. Vicino alla cappella s’erge massiccio il bel campanil con le sue eleganti bifore e trifore del secolo XIII che ospita due campane storiche: una per la sua vetustà e per essere una mutilata della prima guerra mondiale, l’altra perché ricorda i 16 caduti di Vervò nella guerra 1914-18. Sulla facciata esterna del campanile un enorme (brutto) S. Cristoforo dipinto. Un ciclopico muraglione di pietra costruito proprio sui ciglioni delle rocce sovrastanti i burroni sostiene e chiude tutto attorno il sacro luogo pieno di ricordi, di poesia, di fascino, carissimo ai Vervodi e interessante al forestiero. Prezioso per l’oro che lo ricopre e pregevole per gli ornamenti di fattura squisita è l’altare maggiore in legno di stile barocco del 1683 (1686) della chiesa di San Martino. Un bel viale fiancheggiato dai capitelli della Via Crucis porta la cimitero passano accanto ai ruderi del castello ora coperti da un’amena pineta.

San Martino fu dichiarato monumento storico sotto la tutela della Sovraintendenza delle Belle Arti. Anche la chiesa di S. Maria (Maggiore) dedicata a Maria Assunta (?) in paese è graziosa di stile gotico, costruita nel secolo XVI (XIV almeno) e restaurata e ampliata nel 1886, fu abbellita di pregevoli affreschi dal professor Wolf di Trento che vi lavorò tutta l’estate del 1945 ( e autunno1944).

Mentre la guerra di distruzione infuriava su tutti i fronti e le bombe venivano a cadere anche nelle vicinanze dell’abitato, Vervò onorava la casa di Dio con un’opera d’arte e realizzava un altro importantissimo progetto da lungo tempo accarezzato e meditato: la costruzione della strada che lo congiungesse con la strada provinciale. I lavori iniziati nel 1944 finirono nel 1945 con una spesa di oltre lire 2.500.000 sostenute per il 90 % dalla frazione di Vervò e il 10 % dai paese cointeressati della Pieve di Torra. I vantaggi di quest’opera furono immediati e progressivi e hanno già superato le previsioni più ottimistiche. Riconquistata l’autonomia comunale soppressa dal regime fascista nel 1929, Vervò ha ripreso la sua vita bimillenaria e un fervore di buoni propositi e di opere pubbliche anima la popolazione che guarda fiduciosa verso un miglior avvenire. L’anno scorso fu costruito un caseificio moderno con una spesa di altre due milioni e mezzo di lire. Quest’anno si sta costruendo il palazzo scolastico e gli uffici comunali con una spesa prevista e approvata di oltre venti milioni. Anche i privati abbelliscono le loro abitazioni e preparano camere e quartieri per i villeggianti che sono in continuo aumento. Il paese è sufficientemente fornito di ottima acqua potabile che giunge in tutte le case e alimenta nove fontane in paese e un lavatoio a getto continuo. L’acquedotto di Vervò fu costruito una cinquantina di anni fa per iniziativa e tenace volontà dell’allora copocomune Pietro Zenner che per ben 12 anni consecutivi resse il comune di Vervò con intelligenza, fermezza e onestà da meritarsi l’imperitura gratitudine della popolazione. L’acqua che sopravanza all’alimentazione è però affatto insufficiente a scopo irriguo. La frazione di Priò in quanto ad acqua irrigua si trova in migliori condizioni e la sua giovane frutticoltura ha un avvenire sicuro. L’economia di Priò – 650 m/slm – si basa su agricoltura, frutticoltura e viticoltura.

Il pensiero che assilla più di tutti i nostri agricoltori di Vervò è quello di trovare una polla d’acqua per poter irrigare i loro frutteti e i loro prati tanto soggetti alla siccità. Si stanno facendo delle ricerche lungo il corso della Pongaiola che hanno già dato esito positivo. I lavori si sono iniziati e procedono sotto gli auspici e la guida dell’illustre geologo prof. Trenner che si portò più volte sul luogo per dare i suoi preziosi consigli al sapiente direttore dei lavori Zucali Arturo e ai suoi operai che procedendo con grande perizia raggiunsero mediante una galleria e un pozzo di 10 metri una polla d’acqua che nella massima magra di quest’estate oltrepassava la portata di 16 litri al secondo. Si affronterà qualunque sacrificio pur di dare acqua alle nostre campagne. Ognuno ora è convinto che, senza acqua, non si può fare della frutticoltura redditizia, né incrementare l’allevamento delle bestie da latte. Eppure l’economia del paese dovrebbe poggiare e puntare proprio su questi fattori (i quali dipendono dalla quantità d’acqua disponibile) Al clima ottimo, il terreno bene esposto, produttivo e di grande estensione non manca che l’acqua. Sarebbe una bella e simpatica coincidenza che a raggiungere questa meta sospirata e difficile toccasse l’onore e la fatica proprio all’attuale sindaco, il primo dopo il ricostituito comune di Vervò, Primo Zenner, ben degno e capace, pronipote del sunnominato benemerito capo comune invero a colui che nella settimana di passione dell’anno 1930 - ebbe l’audacia di improvvisarsi campanaro contro la prepotenza fascista e squadrista.

Ed ora per ultimo un altro grosso problema che interessa, non solo Vervò, tutti i paesi circonvicini: Tres, Sfruz, Smarano, Coredo: tutta la zona tra il Verdes e la Pongaiola. Vervò, Tres e Sfruz si sono costruite comode strade d’accesso alla provinciale facendo capo, com’era naturale e logico, a Mollaro il primo, a Taio il secondo, a Dermulo il terzo. È stato un bel passo avanti e tutti ne sono soddisfatti, ma non basta. Bisogna valorizzare al massimo questi tre tronchi morti facendoli diventare vivi mediante la costruzione di una strada di arroccamento che li metta in comunicazione diretta fra loro. I tre paesi si trovano, a grosso modo, ai vertici di un triangolo a quota 810 m.slm Tres, 890 m Vervò, e Sfruz a quota 1015. Prolungando i tre tronchi già costruiti lungo le bisettrici del triangolo essi si incontrerebbero in un punto x distante km 4 da Sfruz, e km da Tres e pure 2 km da Vervò, circa nel bosco comunale di Tres (Pra’ Colombai, Busa delle crosette) cosicché, partendo dal vertice in alto Sfruz si raggiungerebbero gli altri due distanti fra loro km 4. Ora invece le distanze di comunicazione fra i tre paesi sono nettamente superiori perché si dovrebbe scendere fino alla statale 43 per poi risalire al paese confinante. Da questi semplici dati in confronto balza subito alla mente la convenienza di eliminare una simile assurdità che, se può essere stata una insuperabile difficoltà in passato, non lo è al presente. I vantaggi che tale allacciamento procurerebbero ai paesi della zona interessata sarebbero certamente grandi e molteplici, annullamento quasi delle distanze, scambio di prodotti, relazioni comunali, commerciali e sociali, incremento della villeggiatura, strade di alto valore turistico, valorizzazione dei boschi comunali attraversati. Una strada apre altre strade: quelle del progresso della civiltà e della fratellanza dei popoli. Del resto la spesa non sarà eccessiva dato che difficoltà tecniche ed espropriazione di terreni privati non ce ne saranno. Con l’aiuto della Provincia e delle frazioni i tre comuni potrebbero, se non subito, in un prossimo avvenire compiere la grande opera.

La montagna si spopola, dicono de statistiche, bisogna provvedere, i dati anagrafici parlano chiaro e si commentano da sé. Rimedio: “Aiutare, aiutare queste popolazioni laboriose ed econome a creare quelle condizioni necessarie e sufficienti di vita che permettano loro di rimanere al paesello natio che non hanno mai desiderato, né desiderano abbandonare. È già tempo che si tolga l’ostacolo che si ha fatalmente tenuti lontani e divisi: coltiviamo e diffondiamo l’idea, persuadiamoci noi prima di tutto e poi persuadiamo le nostre autorità dell’opera bella che i tempi nuovi e l’economia dei nostri paesi richiedono. De un giorno, che speriamo non lontano, potessimo darci l’appuntamento, stringerci la mano alla Busa delle Crosette, quello sarà avvenimento più grande della nostra storia. Questa è la voce di Vervò; ora si gradirebbe udire la voce di Tres e di Sfruz e di quant'altri volessero interloquire in questo importante argomento. Il microfono è vostro – Coraggio.

Al buon Dio

Mi han detto, o Dio, che pensi agli uccelletti, che stan ne’ boschi e volano pel ciel, e che pietoso, o Dio, tu non permetti che di fame periscano e di gel. M’han detto che perfin Tu pensi ai fiori che ne’ campi si vedono fiorir, che sei Tu che dai loro i bei colori e che Tu pensi a non li far morir. So che molto Tu vuoi bene ai bambini, so che di Te più buono alcun non c’è. La mamma vuol che a Te sempre m’inchini che più di tutti io voglio bene a te. Tu sei nel cielo, ma Tu senti e vedi me che ti prego, come so pregar. Oh! Fammi buono e un giorno mi concedi ch’io possa a Te com’angelo volar.

Gottardi Francesco

 

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