STORIA DI VERVÒ nei ricordi del maestro Francesco Gottardi e del prof. Giustino Nicoletti


Indice Prefazione Parte prima Nicoletti Giustino Angelo, il turista Vervodium
Parte seconda Francesco Gottardi Capitoli: 1 2 3 4 5 Conclusione

Capitolo 5

Cap 5 - Gli edifici e documenti storici di VervÒ

5.1. - Chiesa di san Martino

Questa chiesa suggestiva risale a tempi molto remoti. Infatti nell'atto di consacrazione dell'altare fatto nel 1463 da Vitale, vescovo Ariense e suffraganeo del vescovo di Trento Giorgio I, vi rinchiuse anche reliquie di Santi trovate nel vecchio altare. La chiesa attuale è frutto di un'epoca sola. Il portale della facciata fu costruito dai tagliapietre Giacomo Cogol da Cusiano e Cristoforo Rauz da Brez per 55 talleri nel 1653. Sull'arco santo da una parte è segnata la data 1532 e dall'altra 1539. Nella volta dell'abside sono rappresentate le insegne del Clesio, del Principato e dell'Impero, l'affresco coi quattro Evangelisti e al centro il Redentore benedicente che reca nella sinistra tiene il libro sacro *. La chiesa fu consacrata nel 1558 da Mariano Mano, vescovo triburiense.

La chiesa ha tre altari: il maggiore di legno, un autentico capolavoro del 1686, anziché dello scultore Pietro Strudel che era in quel tempo a Vienna, da Pietro Strobl di Cles e splendidamente dorato da Tomaso Oradini 1703 per un compenso di £ 2658. Nella nicchia ci sono la Madonna con Bambino in braccio, s. Martino, s. Giacomo maggiore e angeli scolpiti. La tela, che si cala nelle solennità per lasciare in vitsa la nichhia, fu dipinta nel 1715 da Giovanni Felicetti per troni 202. Il tabernacolo ottagonale di bellissima fattura porta la data 1669. L'antipendio intagliato da Giacomo Strobl nel 1712 e dorato da Giovanni Battista Costanzi nel 1713 mostra in mezzo la figura di S. Martino in atto di resuscitare un bimbo. L'altare, reca opere d'arte, brilla di vivo splendore per l'oro che lo ricopre.

Il secondo altare intitolato ai ss. Fililppo e Giacomo, è pure di legno intagliato da Pietro Strobl (1683) per ragnesi 175 e indorato da Gianbattista Costanzi (1716). L'antipendio ha un'immagine di san Giovanni Battista in cuoio e firmata Molina T.

Il terzo altare consacrato ai principi degli apostoli Pietro e Paolo, fu opera di Vigilio Prati di Cles e fu dorato per lire 585 da Bartolomeo Costanzi da Faver nel 1760. La pala rappresenta i ss. apostoli Pietro e Paolo, opera del pittore Giovanni Sembianti di Vervò. Le due cappelle furono costruite nel 1672. L'acquasantiera nel 1616, il pavimento di pietra fu fatto nel 1723. La chiesa è dichiarata monumentale.

5.2. - La cappella dei SS. Fabiano e Sebastiano

La cappella dei SS. Fabiano e Sebastiano fu eretta a spese e per opera di alcuni vicini della Comunità di Vervò.

Ultimata nel 1476, il 22 ottobre dello stesso anno venne consacrata da fra Albertino, vescovo exiense e vicario del vescovo di Trento. L'altare è in legno indorato con simulacro della Madonna delle fasce col Bambino. L'antipendio, dorato nel 1736 da Gianbattista Costanzi, ha nel mezzo l'Adorazione dei Magi, un ricamo dono di Leonardo Pollini di Vervò.

Sulle pareti erano appesi molti ex voto dal 1605 in poi, molto interessanti per i fatti ed i costumi che riproducono; è appeso alla parete un quadro di s. Francesco che riceve le stimmate, opera di *, e sotto la scritta dell'offerente Don Domenico Meneghino, curato in Vervò per 19 anni: data 1691. La cappella sei SS. Fabiano e Sebastiano si appoggia sul lato Ovest al campanile, il quale sembra il risultato di una sopraelevazione d'una antica torre romana.

Altra cappella, detta il Sepolcro, è l'ultima stazione della Via Crucis eretta lungo la via che dal paese conduce alla chiesa di S. Martino, nel 1744 per cura di devoti benefattori. Le sue tele logore furono restaurate da Melchiore Rizzardi, pittore di Coredo, Nel 1914 la Via Crucis fu rinnovata con tanernacoli nuovi conteneti quadri policromi di terra cotta in rilievo fatti venire da Vienna dall'allora parroco don Rossi di Revò. Alla sua costruzione contribuirono le prestazioni gratuite di alcune famiglie e offerte della popolazione e del Comune.

La cappella della 14° stazione fu dipinta dal pittore Ottolini di Riva. Sotto il pavimento della cappella v'è un ossario che aveva una finestrela nella parete a sera, ora coperta dalla lapide di GBatta Conci di Vervò, attraverso la quale s'intravvedevano le ossa ivi raccolte e provenienti, probabilmente, da qualche sepolcreto eliminato. In essa furono riposte le ossa di taluni scheletri barbarici le cui persone misuravano oltre 2 metri d'altezza rinvenute alla quarta Stazione della via Crucis lungo la strada restaurata nel 1914. L'altezza di queste persone fu desunta dalla lunghezza delle ossa del femore dal Sig. Simon Ottone di Vervò già studente in medicina.

5.3. - Il Campanile di san Martino -La torre pagana si converte al Cristianesimo

Il campanile di San Martino di Vervò è un oggetto di ammirazione per la sua origine storica e per la sua armoniosa bellezza. Esso è il felice risultato di una sopraelevazione dell'antica torre romana. Detta elevazione consta di due ordini di celle campanarie e di un tetto piramidale in muratura. Le quattro bifore inferiori sono state ricavate, come si può vedere, dalle preesistenti luci dell'antica torre, mentre le quatto trifore superiori e l'ardita cuspide costituiscono la soprastruttura vera e propria che, innestata sul vetusto tronco romano, costituiscono il campanile di stile romano, opera monumentale massiccia e severa, armoniosa ed elegante insieme. * Non si conosce con precisione l'epoca di tale adattamento, ma si presume sia del secolo XIV, coeva alla grandiosa figura di S. Cristoforo dipinta alla base della torre sulla facciata a sera.

Questo affresco, simile al altri nel territorio delle Alpi, probabilmente dipinto dai Baschenis, è prezioso per la sua antichità ed originalità. Conserva vivi e incancellabili i bei colori, protetto com'è da una tettoia in legno.

Per quanto l'ignoto costruttore abbia cercato di uniformare il nuovo all'antico, le due parti del campanile ben si differenziano una dall'altra, sia per i materiali usati, sia per la tecnica del lavoro. La sopraelelvazione è dell'anno 1700.

La torre romana, conservatasi per un millennio in ottime condizioni, rese possibile la nuova costruzione donandoci un'opera veramente monumentale, che onora i nostri proavi che vollero costruirla in tempi difficili, con grande sforzo finanziario, dimostrando alto senso civico e religioso.

Nel 1881 un fulmine caduto, durante un temporale, sul tetto del campanile, ne asportò una parte, indi passò sul tetto di legno della chiesa di San Martino e lo incendiò, penetrando nell'interno, e fu un vero miracolo se il prezioso altare maggiore in legno dorato, opera insigne del famoso scultore Strobl di Cles (1686), non andò distrutto. Il tetto della chiesa fu subito ricostruito e coperto con tegole di cemento, copertura antiestetica che stona con lo stile e la vetustà del tempio. * Con l'intervento ed i consigli delle Belle Arti il tetto del campanile fu restaurato nel 1925, utilizzando assicelle di larice rosso, che gli conferiscono eleganza e stile.

5.3.1. - Vicenda delle campane dei due campanili

Ora il campanile di S. Martino porta due campane che hanno una storia triste da ricordare - povere campane-. Era l'anno 1918, il quinto anno della Prima Guerra Mondiale. Un governo nefasto, la Monarchia austro ungarica, era ridotto agli estremi: scarseggiava di tutto. S'era arbitrariamente, impossessato dei depositi bancari degli Enti Pubblici e con promesse e lusinghe e larvate minacce aveva convinto i contadini ad investire i loro sudati risparmi in prestiti d guerra. Poi cominciò a requisire il ferro, il rame, il bronzo e, finalmente, nel 1918 furono requisite le campane, monumenti sacri d'arte, di fede, di storia; orgoglio e vanto delle nostre popolazioni. Quest'ultima rapina della morigerata e santa Austria, già moribonda, non le giovò punto, anzi, sono convinto che ne affrettò la fine ingloriosa. Anche la campana del campanile di S. Martino, detta Pianzina, fu requisita.

Il campanile di Santa Maria in paese aveva 3 campane: due furono requisite e gettate al suolo dalle celle campanarie tra la costernazione e le lacrime della popolazione, specialmente dei poveri vecchi, ai quali, le care campane ricordavano i momenti lieti e tristi della loro vita. * La campana maggiore, dopo che fu gettata a terra, su richiesta del Sindaco Luigi Pollini, fu rimessa al suo posto, ma nel fatale urto contro il suolo aveva riportato una grave lesione, di cui nessuno s'era accorto. Quando il tre novembre 1918, giunse l'annunzio che la guerra maledettissima era, per noi almeno, finalmente finita e la Vittoria alata dell'Italia nostra stava volando al Brennero ed oltre, fu uno scoppio universale di esultanza incontenibile e con tutte le campane d'Italia suonarono a distesa. Anche la nostra mutilata si mosse, ma fin dai primi tocchi manifestò con la sua voce roca e stanca l'irreparabile lesione.
Il vetusto campanile di San Martino non doveva rimanere senza campana ed ebbe la "Granda" mutilata di Guerra.

Nel 1921 mi feci promotore per erigere un monumento ricordo ai caduti paesani della Guerra Mondiale, tra i quali c'era mio fratello.
Il Comitato per le onoranze ai caduti da me presieduto, interpretando il desiderio delle famiglie dei caduti e della popolazione, decise di dedicare loro una campana da collocare sul campanile di S. Martino che ne era privo. Così i sedici caduti, i cui nomi furono incisi tra i fregi della bella e artistica campana, ebbero onore e gloria.

5.4. - La figliale di S. Maria di Vervò

Essa è molto antica e trovasi ricordata nel 1327 nei rogiti del notaio di Denno Barolomeo e nel 1391 quando fu istituita presso la chiesa di S. Maria la Compagnia dei Battuti di Vervò dal vescovo di Limone (?) suffraganeo di Trento. Nel 1396 Giorgio I vescovo di Trento, accordava indulgenze a chi avesse beneficato la pia istituzione. Il 25 settembre del 1431 il vescovo Alessandro di Mazrovia le consacrò il battistero, il tabernacolo e gli oli santi (un solo altare). Rimodernata ed ingrandita alla fine del Quattrocento, fu consacrata il 20 maggio 1500 da Francesco della Chiesa, vescovo di Drivasto (tre altari).

Nel 1513 i vicini di Vervò chiesero ed ottennero da Michele Jorba, parroco di Torra, vescovo nel * Coronese e suffraganeo di Trento, un proprio sacerdote stabile (per 4 giorni in settimana). Il cappellano curato aveva facoltà di amministrare i Sacramenti e di celebrare messe gregoriane; nelle feste di S. Eusebio doveva recarsi processionalmente a Torra ed offrire alla chiesa madre un cero in segno di soggezione, doveva intervenire alla parrocchia il venerdì Santo, dare 12 lire all'anno e le offerte di Natale e di Pasqua.

La chiesa di S. Maria nel 1537 era priva di avvolto al quale si provvide cent'anni più tardi. La curazia fu confermata con decreto del 27 ottobre 1550. Nel 1607 fu eretta la Confraternita del Rosario, nel 1652 la Confraternita della Cintura, nel 1710 quella della Dottrina e nel 1805 quella del Santissimo.

L'anno 1636, ingrandita la chiesa, vi fu trasportato il battistero che precedentemente era nella chiesa di san Martino. Nel giorno 22 luglio 1649 la chiesa fu riconsacrata da Jesse Perchoffer, vescovo Bellinese, delegato dell'Ordinario di Trento deponendo nell'altare maggiore dedicato alla Madonna del Rosario, e in quelli laterali dedicati a S. Antonio abate e a san G. Battista.

La chiesa fu nuovamente ampliata nel 1885, consacrata il 13 agosto dell'anno 1886. Nel 1920 la curazia di Vervò fu alfine elevata a parrocchia.

5.5. - Il campanile della chiesa di santa Maria

Il campanile fu costruito nel 1769 dal maestro Antonio Bianchi. Fu dotato di tre campane. Come detto sopra queste furono requisite nel 1918. Anche la "granda" in principio era stata requisita e gettata dal campanile. Poi venne accordato di sostituira con la Clouza, così chiamata perché comperata a Cloz per fiorini 448. La campana “granda” fu riportata al su posto di prima, solo a guerra finita ci si accorse che nel gran salto dalla finestra del campanile sui tronchi d'albero predisposti, s'era lesionata e ben presto si rese inservibile col distacco d'un grosso pezzo. Si tentò di riparare il danno, con un'operazione di saldatura autogena, eseguita dal fabbro di Nanno, che riattaccò il pezzo con la fiamma ossidrica, ma la sua voce rimase così rauca che ne fu chiesta la fusione all'Ufficio delle Belle Arti di Trento, al tempo della sostituzione di quelle requisite, ma l'ufficio negò la richiesta per la sua vetustà e per la sua forma caratteristica a bigoncia. Così fu relegata sulla torre di S.Martino come un oggetto storico da museo.

Il campanile riebbe, dal governo italiano, un concerto di quattro campane, al posto delle tre di prima, ben intonato ed armonico.

5.6. - Le antiche pergamene di Vervò

I documenti scritti che delineano alcuni aspetti della storia di Vervò sono le sue famose cinquanta pergamene ricordate al capitolo 4. Esse sono scritte in latino (molte a caratteri gotici) e furono conservate e custodite con amorevole cura nella sacrestia dell'antica chiesa di san Martino per la durata di quasi 600 anni poiché la più antica porta la data del 13 aprile 1305 (1250?) e l'ultima quella del mese di giugno 1668. Da questo momento troviamo solamente documenti cartacei, altrettanto importanti. Il professor Desiderio Raich di Taio, nel 1902*, venuto a conoscenza che a Vervò si conservavano a S. Martino antiche pergamene, si presentò al Signor Angelo Sembianti di Vervò, fabbriciere della Chiesa di S. Martino, chiedendo di poterle leggere. Non senza qualche difficoltà da parte del Comune, geloso delle sue antiche pergamene, ottenne l'autorizzazione di prenderne visione. Il previdente diligente studioso a manco di responsabilità reciproca propose e ottenne che le pergamene fossero munite del numero corrente e del timbro del comune. Il bravo professore le lesse, le tradusse dal latino e, fattone di ciascuna un diligente regesto – breve riassunto - le restituì al comune di Vervò. Il professore in quella occasione, come studioso di carte antiche, ebbe parole di lode per gli amministratori del Comune e delle chiese per averle conservate intatte e custodite gelosamente. (Pergamene di Vervò - Anno 1902 .Tridentum).

Il regesto è molto conciso e porta di ciascuna pergamena la data (giorno mese anno, indizione), il luogo, le persone (testi, attori, autorità), argomento, estensore dell'atto (notaio). Fino al 1450 le persone citate nel documento non hanno il cognome, solamente le autorità deleganti e delegate di risolvere la questione portano i loro titoli, i loro casati come rappresentanti del principe Vescovo, Avvocati, Capitani della Chiesa tridentina.

Dopo lo studio del Raich, esse furono rimesse nella custodia di noce nelle sacrestia di san Martino e vi rimasero fino all'anno 1945. Poi passarono nelle mani, a dir poco trascurate, sembra che siano andate in gran parte perse. Ciò è assai deplorevole ed è il caso di ripetere "Ciò che non fecero i barbari, pardon, in tanti secoli fecero in pochi anni i barbarorum. Le pergamene sono proprietà del comune. Anche i documenti delle chiese, fra i quai ci sono altre pergamente, erano custoditi a San Martino.

Dalla lettura di questi documenti si può constatre che i cognomi furono introdotti dopo il Concilio di Trento (1500). La loro mancanza rende quasi impossibile individuare le persone citate nei documenti nei primi duecento anni (1300 - 1500). Il cognome Gottardi appare la prima volta nella pergamena 3 luglio 1461 nel castello di S. Vigilio di Coredo. Il principe vescovo Giorgio approvò la vendita fatta da quelli Vervò a quelli di Tres della località Malgol (comunità allora unita a Vervò), i cui abitanti in grande numero erano morti di peste, meno una ragazza, BONA*. Copia autentica del notaio G. B. Bonaventura de Gothardis di Vervò.

Nelle successive pergamene compaiono altri cognomi fino all'ultima del 1668 e precisamente: Gothardis (Gottardi), Nicoletti, Simblant (Sembianti), Cristoforetti, Marinelli, Nicli, Strozzega, Pasquale, Marini, Bortolotti, Ghina, Allegranz, Berlai, Zanetti. Nei secoli successivi si aggiunsero i Chini, i Micheletti, i Zadra, i Conci, i Zucali, i Covi, i Zambiasi, gli Endrizzi, il Comai. I cognomi in corsivo non sono più presenti fra quelli delle famiglie di Vervò attuali perché estinte od emigrate.

5.6.1. - Stemmi Gottardi

In due documenti del 1766 e del 1774 scritti da un notaio che usa come firma il timbro proprio con le iniziali J. B. B. G. N. Joannes Baptista Bonaventura de Gothardis Notarus di Vervò si vede lo stemma Gottardi. Lo stemma Gottardi trovasi inciso in una chiave di volta sporgente dal muro sopra la grande porta della casa di Luigi e Ottavio Chini (Bozza) e testimonia che la casa era di proprietà di un Valentino Gottardi, poi passata all'oste Luigi Zadra che la vendette ai Chini. Un'altro stemma è dipinto nella meridiana sulla casa dei Gottardi detti "Dottori". Questi stemmi rappresentano la giustizia con spada e bilancia nelle mani, fiancheggiata da due leoni rampanti, eseguita nel 1836.

5.6.2. - Dalle carte di regola

Traduzione dell'introduzione alla carta di regola del 1532

1532, maggio, 26, in Vervò sulla piazza, presenti il venerando prete Lodovico Cappellano di detta villa, Antonio figlio del fu Jorio Giovanni del fu Antonio Jorio, tutti e due di Vervò, Martino del Bert di Mollaro, Mastro Cristoforo Cavos da Fruzo e Simone de Romedi da Fruzo, testi vennero chiamati a convalidare con firma lo Statuto o Regole del Comune di Vervò in quanto considerati autorevoli cittadini.

 

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