STORIA DI VERVÒ nei ricordi del maestro Francesco Gottardi e del prof. Giustino Nicoletti


Indice Prefazione Parte prima Nicoletti Giustino Angelo, il turista Pagina iniziale
Parte seconda Francesco Gottardi Capitoli: 1 2 3 4 5 Vervodium

Capitolo 3

Cap 3 - Reperti archeologici di VervÒ

3.1. - Le lapidi romane di Vervò

In valle di Non, scrive l'illustre storico Inama (Arch. Tr. XII - 95) furono ritrovate 35 iscrizioni romane delle quali se ne conservano 25; le altre sono da considerarsi perdute. Di queste ben 17 provengono dalla località "Ciastel" – (San Martino) di Vervò.

Si arrivò al loro ritrovamento nel secolo XVIII per l'interessamento del benemerito sacerdote Don Stefano Ghina, beneficiato di Vervò, il quale come tale godeva l'usufrutto del campo attiguo annesso e appartenente all'antica chiesa di S. Martino. In questo campo egli permise e fece eseguire dei lavori di ricerca archeologica che diedero risultati copiosi. Al marchese Scipione Maffei di Verona vendette per £ 40, sette lapidi; di queste quattro si conservano ora, nel Museo lapidario Veronensis e sono segnate nel catalogo coi numeri 154 - 155 - 537 - 546. Le altre sono andate perdute. Parecchie altre sono state portate nel vicino castel Brughiero (Coredo); solo tre, ivi, si conservano nel cortile interno, senza riparo, cosicché adesso sono quasi illegibili; portano il n° CIL 5052 - 5058 - 5072. Peccato che nessuna delle lapidi porti data, perciò non si può assegnare loro un ordine cronologico nei quattro secoli di dominazione romana. Anche così, tuttavia, esse hanno una grande importanza storica.

Il professor Roberti lasciò scritto a proposito: “Le lapidi rappresentano, fra le documentazioni archeologiche, la testimonianza più valida ed eloquente perché è la voce diretta del passato che ancor risuona alla nostra immaginazione.” Questa autorevole affermazione certifica l'importanza delle iscrizioni romane di Vervò che sono state oggetto d'interessamento da parte di tanti studiosi ed archeologi che ne trasmisero e ne interpretarono il testo, la forma e la grandezza soprattutto per merito del celebre archeologo tedesco Teodoro Mommsen nella famosa opera: - Corpus inscriptionum latinarum.

Seguono i disegni

3.1.1. - Lapidi presso il castel Bragher (Coredo)

Lapide 1

 

Lapide 2

CIL V N° 5072 Iscrizione sepolcrale. (Lesionata e senza cornice)

 

Trovasi in Castel Brughiero (Coredo)

Lettura (Inama): Caio Valerio Quintino di Caio Valerio Firmo veterano della IIII Coorte Pretoria, Caninia Teda figlia di Quarto, moglie di Firmo e Madre di Guintino.

Questa iscrizione, precisa l'Inama, è molto importante perché ricorda un veterano d'una Coorte Pretoria e il nome della madre, uso non comune presso i Romani.

Dalla nostra iscrizione pare possa affermarsi che C. V. Firmo, padre di C. V. Quintino, dopo aver militato nelle Coorti Pretorie ed aver ottenuto il congedo, sia venuto a dimorate a Vervò, dove probabilmente gli sarà stato assegnato, come veterano, qualche terreno in proprietà, che quivi abbia preso in moglie Caninia Teda figlia di Quarto, appartenete a famiglia indigena di origine retica, non romana, ma in possesso della cittadinanza romana (anno 46 d.c.), oppure matrimonio irregolare: uno di quei casi a cui allude l'imperatore Claudio nel famoso decreto (Tavola Clesiana).

 

Lapide n°3

C.I.L.V. N° 5052 - Castel Brughiero

Base di statua dedicata da un ignoto a Marte

Alla scoperta assisteva Don Stefano Ghina di Vervò, beneficiato (1673 - 1728) in località Ciastiel (san Martino) di Vervò con altre cinque che portavano i nomi dei pianeti divinizzati:

Lap. 4° - Lunae;          Lap 5° - Mercurii;      Lap 6° - Jovi;      Lap 7° - Veneri;       Lap 8°- Saturni - (Perdute)

Queste divinità planetarie stanno a dimostrare quanto la fantasia popolare sia stata immaginosa. Appare strano che non sia stato trovato neppure un frammento di statua. Dove sono andate a finire? È da credere che i primi cristiani, raggiunto il predominio in confronto dei pagani, abbiano fatto man bassa di tutti i simulacri degli dei falsi e bugiardi gettandoli dalle rocce giù nei burroni laterali dove nessuno mai è andato a cercarli sotto il cumulo dei materiali e dei detritti alluvionali.

3.1.2. - Lapidi del Museo Lapidario di Verona

Portichetto a sinistra entrando - 4 lapidi di Vervò Quattro lapidi di Vervò allineate Sono state portate nel XVIII secolo dal fondatore del museo Maffei?

La pietra del n° 300 è quella calcarea marnosa di Vervò, scalpellata in alto e in basso e dietro piedestallo.

Quella del 312 è pietra di Vervò più compatta e bianca.

Così pure quella del n.° 313 e quella del 314.

Le altre lapidi romane del portico sono di magistrati, di centurioni, di questori, di patrizi, di famiglie, spesso scolpite in vita, con espressioni d'affetto per la moglie, per la figlia, per i figli, per il padre. Provengono alcune da Roma, da Brescia (Querini), dal Veneto, dal Trentino, da Zara.

Lapidi 9° e 10°

N° 312 Sacro agli dei e alle dee tutte, Sciolse il voto C (...) Quarto Vervò - Cipolla n° 537

Lapide N° 9
Lapide N° 10
C.I.L.V. n°5060
C.I.L.V. N° 5061
M.L.V. N° 155
M.L.V. N°
Lucius Cerio o Cerione Quarto
Momsen: Nomen dicantis ignoratus

Così sono le tre lapidi dedicate a tutti gli dei e a tutte le dee che non riportano il nome di nessun dio particolare. Probabilmente il votante, per timore di suscitare delle gelosie a lui potenzialemnte dannose, volle mettersi al riparo, facendo un fascio di tutte le divinità. Questi Nonesi non si smentiscono! È meglio stare alla larga, pare che dicano e in “bona” con tutti.

N° 300 Biglietto illustrazione - traduzione

Gaio V(alerio) Quadrato dedicò nel suolo pubblico agli dei e alle dee tutte, per la salute degli abitanti di Vervò (Vervassium)!! (Vervò . Trento . Racc. Cipolla 155)

Lapide N° 11

C. I. L. V. N° 5059

 

 

La lapide trovasi nel Museo L. V. e porta il n° 155 del catalogo.

Prof. Vigilio Inama

L'iscrizione ricorda un dono dedicato da un certo Caio Valerio Quadrato a tutti gli dei e a tutte le dee per la salvezza dei castellani di Vervassio. Il castello romano è stato costruito sopra l'area dell'antico castelliere presso il villaggio che già esisteva prima che i Romani vi arrivassero in mezzo a una popolazione reto-gallica indicata col nome gens dei Vervasses. Importante e quel "Pro salute castellanorum Verassium" che non lascia nessun dubbio.

Lapide 12

N° 314 - Biglietto illustrativo

A Marte (dedicò) Lucio Visco Crescente

Vervò - Cipolla 546

C. I. L. V. N° 5064 --- M. L. V. N° 546

Mommsen: Dicavit - Lucius Visaeus Cresces - Votum Solvit Laetus Libens Merito

Lapide N°13 C. I. L. V. N° 5062 Perduta: forma e dimensioni ignote

Mommsen: lettura e interpretazione difficili. Trasportata a castel Brughiero; irreperibile.

IOVI ET DIIS CONSERVATORIBUS PRO SALUTE IVL EDVRINI VET LEG XIIII PANNON CORPORIS PERICULO LIBERATUS IULI EDVR F. P. IUSTINUS PAT..... DICAVIT

Il figlio Giustino ringrazia Giove e gli dei conservatori per aver salvato suo padre Julio e per essere scampato egli stesso da grave pericolo (veterano della XIIII legione).

Lapide N° 14

Supplemento Pais N° 716 M. Tr N° 506

Bellissima ara votiva; fu trovata a S. Martino

 

Mommsen: Pro certo affermari non potest, ut quidam supplicatus est, lapidem deo Martis dicatum esse.

 

Lapide N° 15

C. I. L. V. N° 5070 - Forma e dimensioni ignote

Il sacerdote Ghina la mandò al vescovo (pievano?) Gentilotti (perduta)

Mommsen: Ara dicata est a quattuor P. Tula quorum usque diversum cognomen erat.

Il Cresceri dice che fu trovata a Vervò nell'orto della casa beneficiata (Gottardi a valle della casa odierna dei Perinoti) in un muro a secco in fondo alla scala.

VIC. AUG. = Vittoria Augusta

P. TULA MX = P. TULA Massimo

P. TULA QUIN = P. TULA Quinto

P. TULA TER = P. TULA Terzio

P. TULA VEM = P. TULA Vemens

Lapide n° 16

N° 313 a Verona

 

 

A Giove vincitore Sciolse il voto Lucio Visco Cerione

Vervò - Cipolla 154

 

C. I. L V. N° 5063

A Giove Vincitore

Lucius Visaeus Cerio o Cerione Votum Solvit Laetus Libens Merito

 

 

Lapide N° 17

C. I. L. V. N° 5065

La lapide è perduta e si ignorano la forma e le dimensioni.

MINERVAE AUGUSTAE

L. NEMALA IUSTINUS

CUM SUIS V. S. L. L. M.

3.2. - Le monete Romane di Vervò

Se le lapidi con le relative iscrizioni romane hanno tanta importanza come fonti storiche, non meno importanti sono le monete romane rinvenute nel territorio di S. Martino e conservate nei nostri musei. Anzi, sotto un certo aspetto, esse sono più eloquenti delle stesse iscrizioni, perché ci lasciano capire quando e da chi furono coniate. Nel nostro caso l'inizio e la fine della loro presenza nel luogo del loro rinvenimento, coincidono, non c'è dubbio, con l'inizio e la fine dell'occupazione romana di Vervò (16 a. C. - 400 d.C.).

Il conio delle monete era prerogativa esclusiva dell'imperatore e, solo in via eccezionale, la concedeva ad illustri famiglie per meriti distinti.

La serie di monete romane di Vervò, salvo altri rinvenimenti possibili, comincia con Cesare Ottaviano (?) e termina con Giuliano Apostata che lasciò triste ricordo di sé per aver voluto restaurare il paganesimo. Proclamato imperatore d'Oriente dai suoi soldati nel 361, combatté contro i Persiani e perì in battaglia colpito mortalmente da una freccia. Prima di morire, allo stremo delle forze, raccolse nel cavo della mano quanto poté del suo sangue e con gesto blasfemo lo lanciò verso il cielo: - Cristo, hai vinto! Era l'anno 361. La cristianità raccolse quel grido, lo completò, lo ripete da 15 secoli e l'eco armonioso si diffonde nei più lontani luoghi della terra: Cristus vincit! Cristus regnat! Cristus imperat!.

3.2.1. - Lo specchietto delle monete romane di Vervò

A - Monete romane coniate da famiglie ricche e potenti: Famiglia AFRANIA - Fam. MANILA - Fam. MUSSIDIA - Fam. CANILIA -Fam. PORZIA - Fam. SALVIAa à n° 6 monete

B - Monete dei Cesari romani: Cesare Augusto (31 A. C. - 14 D. C.) Vespasiano Flavio (69 - 79) Domiziano (81 - 96) Nerva (96 - 99) Traiano (99 - 117) Adriano (117 - 138) Antonino Pio (138 - 161) Caracalla (188 - 217) Alessandro Severo (222 - 235) Costanzo I° (305 - 306) Costantino (313 - 337) Giuliano l'Apostata( 361 - 363) : n° 12 monete. Totale di 18 monete tutte di bronzo.

Si osservi come la successione delle monete è costante e regolare, assicura testimonianza storica della dominazione romana di Vervò.

3.3. - Una cappella dei proto cristiani

Durante gli scavi da me eseguiti a S. Martino (1932-45), venne allo scoperto la pianta rettangolare d'una piccola costruzione, i cui lati misuravano 3 m per 2 m circa. Il lato minore a mattina era leggermente arcuato. Il pavimento era fatto di pura calcina; le pietre dei muri demoliti giacevano in basso sepolte sotto uno strato di materiale, avvolte nella sabbia rossastra della malta disciolta; erano ancora pulite: la malta non vi si era attaccata, segno che la costruzione fu demolita poco tempo dopo essere stata costruita. Frammisti alle pietre e alla sabbia apparivano pezzetti dell'intonaco coperti da un leggero strato bianco di calce. La maggior parte di questi erano colorati in rosso arancione, in verde, in giallo dando l'impressione d'un affresco infranto che doveva coprire le pareti interne.

Questo particolare, aggiunto a quelli di cui sopra, lascia supporre che la piccola costruzione sia stata una cappella dei proto cristiani, appartenente alla guarnigione del castello. La sua ubicazione immediatamente extra muro di cinta del castello, potrebbe essere stata determinata dal fatto che la maggioranza della guarnigione del castello, essendo pagana, non abbia permesso di costruire la cappella entro il recinto del fortilizio, considerato luogo sacro agli dei, come le molte are ad essi dedicate e rinvenute nel luogo lo dimostrano.

I legionari romani convertiti al Cristianesimo, potetti dalla legge in vigore dopo l'Editto di Milano (313) dell'imperatore Costantino il Grande potevano professare anche in pubblico la loro religione ed è assai probabile che tra i soldati del presidio provenienti da Roma, ci siano stati dei cristiani. Potrebbe darsi che i pagani del castello, e forse anche del paese, giunta la notizia del massacro dei tre leviti a Mecla (Sanzeno), anno 397, avessero voluto guadagnarsi la simpatia di quei loro correligionari, demolendo la piccola cappella cristiana, di cui sopra. La pianta è ancora visibile in parte, ai margini del terreno che frana; presto sparirà. 

 


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