No alla guerra senza se e senza ma
Attenti a chi dice "tutti vogliamo la pace"

Vervò, 19 gennaio 2003 Piergiorgio Comai

Ero a Roma il 15 febbraio 2003. Grande e variopinta manifestazione di colori, di idee, di sentimenti rivolti alla vita. Il sentire più diffuso è quello di non usare mai più la guerra per imporre il proprio punto di vista. In questo senso parlano chiaro la nostra Costituzione e vari passaggi della carta delle Nazioni Unite.
Tutti ci auguriamo pace e concordia. Non tutti quelli che parlano di pace, e in queste ultime settimane sono tanti, sono disposti alla coerenza di non fare la guerra. Essi vorrebbero imporre la pace con la guerra. La pace è cosa da conquistare pazientemente ogni giorno con il confronto, con sacrifici reciproci, con la decisione di non usare la violenza superando i propri atavici istinti. Come si è riusciti in gran parte a bandire la pena di morte nell'ordinamento giudiziario, si può giungere a ripudiare la guerra e bandirla dall'ordinamento civile del terzo millennio.

Sicuramente la pace è l’auspicio nel profondo del cuore di tutti. Non sempre la voglia di pace è accompagnata dalla determinazione di evitare la violenza quando la situazione non è favorevole ai nostri principi, ai nostri desideri, ai nostri interessi. No alla guerra o fuori la guerra dall’Italia, fuori la guerra dal mondo: questi slogan sintetizzano una volontà non istintiva, una volontà di crescita culturale per riuscire ad abbandonare i metodi di morte anche quando sinceramente si volesse fare ricorso alla forza delle armi  per far valere i principi ed i valori dell’uomo.

Le frange NO Global o i centri sociali che praticavano, o ancora intendessero praticare la violenza, sono per un concetto di pace a senso unico, legato all’istintività. Penso che la disobbedienza civile giustificata, ma debba rimanere entro limiti che non comportino distruzioni.

Il concetto di democrazia praticato ora da parecchi stati occidentali è quello di un’oligarchia illuminata che si sente investita della mission di fare gli interessi del proprio gruppo facendola passare per bene dell’umanità, anche contro il volere dei cittadini. In questo senso si esprime Bush con il suo concetto di leader che si rifà al “Principe di Macchiavelli” (storico del 1500 che aveva esperienze di signorie e di stati assoluti al posto delle democrazie di adesso). I vari Bush, Aznar, Berlusconi, Blair, col seguito dei cortigiani sono paragonabili ai principi, ai signori, ai feudatari, ai re assoluti che decidevano per l’interesse del proprio gruppo sociale, per la grandezza del proprio feudo e ambizione personale. Anche le dittature di Hitler e Mussolini (o di Saddam, Pinochet, Musharaf in Pakistan, Fidel Castro a Cuba), giustificate da “libere elezioni”, dicevano di lavorare per il bene del popolo e strumentalizzavano questo popolo ai loro sogni con abili campagne  di convincimento e metodi illiberali. In democrazia la voce del popolo sovrano non dovrebbe soltanto essere accolta nel momento dell’investitura, ma anche nel tempo che segue. Nella cultura proclamata dei diritti dell’uomo sono da considerare gli interessi propri e quelli degli altri, sia gruppi che singole persone. Si dice che la mia liberà finisce dove comincia la libertà dell’altro.

Non è giusto interpretare il grido di NO ALLA GUERRA come desiderio di pace che autorizzi l’uso della guerra per arrivare alla pace (vedi Casini: tutti siamo per la pace). No alla guerra significa ripudio della guerra e impegno per mettere in campo tutte le proprie capacità per estendere i diritti dell’uomo, la giustizia, la solidarietà, l'introduzione della democrazia dove ancora non esiste (anche molti paesi amici dei potenti non permettono e non praticano la democrazia al loro interno) con scambi, incontri, pressanti modi di giungere ai cittadini che sono sotto il giogo di tiranni, con l’abolizione del commercio delle armi, con un esteso disarmo anche dei potenti, con pressioni economiche che non facciano mancare l’essenziale alle popolazioni.

No alla guerra dovrebbe essere, come il no alla pena di morte. Ogni gruppo sociale deve badare alla sua integrità isolando i componenti che non seguono le regole: ma anche il delinquente più incallito non sarà punito con la pena di morte. I sistemi educativi che formano le nuove generazioni sono passati da metodologie che prevedevano la violenza (chi non usa la verga a suo figlio, lo odia) a modi che, nel loro rigore, non prevedono violenze corporali. Che il gruppo sociale debba pensare anche alla propria difesa è innegabile e per questo l’articolo 11 della nostra Costituzione è un modello che potrebbe essere trasferito alla Costituzione europea.

Il desiderio di pace è di tutti, ma il ripudio della guerra non lo è ancora. Neanche il ripudio della guerra preventiva sembra patrimonio culturale condiviso da tutti, anzi pare che in questo senso l’umanità abbia fatto passi indietro dopo la fine della seconda guerra mondiale. Stiamo a vedere se accanto al progresso tecnologico ed economico, si farà largo anche un progresso civile.

NO WAR per il momento.

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