Giorni fa mi trovavo a Mezzolombardo e la mia
attenzione è
stata presa da una
locandina che presentava una conferenza dal titolo “Sui fronti
di Galizia”.
Portava al centro la fotografia di un giovane kaiserjäger. Mi soffermai
su quel volto e riconobbi le sembianze inconfondibili, dal taglio della
bocca,
agli occhi e alla fronte, di un compaesano, Gianfranco Conci. Non era
lui
evidentemente: si trattava del nonno materno Luigi Chini Cater. Decisi
di essere presente alla serata promossa dal gruppo ANA di
Mezzolombardo.
Così giovedì 14 marzo mi recai laggiù nella Sala Civica con la moglie,
l’unica donna presente. La sala era spaziosa e accogliente. I presenti
erano poco numerosi. Io sono appassionato della storia locale, sia di
Vervò sia del Trentino e … della storia in genere: mi spiacque questa assenza di
interesse per un argomento importante a cui era invitata la popolazione
tutta. L’argomento era suggerito e promosso dall’Assessorato alla
Cultura, col logo “Trentino ’14 ’18 – Dalla Guerra alla Pace”, in
preparazione al centenario dell’inizio della Grande Guerra.
Dopo una breve introduzione del presidente del gruppo ANA di
Mezzolombardo, il relatore dottor Lorenzo Baratter inquadrò
storicamente e geograficamente l’argomento in modo completo aiutato da
un corredo di filmati proiettati sullo schemo di fronte al pubblico. La
causa scatenente del conflitto fu l’attentato all’arciduca Francesco
Ferdinando e alla moglie Sofia in visita a Serajevo portato a termine
dal diciannovenne serbo Gavrilo Princip. Da tempo nella zona balcanica si manifestavano
spinte al panslavismo che sfociarono nello
spietato assassinio.
Da questa scintilla si sviluppò una guerra che
coinvolse l’intero Continente Europeo schierato sui due fronti. In
Europa furono mobilitati 60 milioni di soldati con 9 milioni di soldati
caduti e 7 milioni di vittime civili fra cause di guerra, carestie e
malattie. I militari trentini erano inquadrati nei corpi dei
Kaiserjäger, Landesschützen, Stanschützen e Landsturm. I primi
richiamati partirono per la Galizia ai primi di agosto e ben preso si
trovarono a vivere le atrocità della guerra. Le autorità cercarono di
indorare la pillola organizzando grandi feste per i partenti che
aumentavano di intensità e di incitamenti fino a Vienna ma poi usarono
la legge marziale per chi avesse tentato di disertare. Nel cuore di
molti soldati trentini quelle feste aiutarono a sopportare la loro
preoccupazione e il dolore nel lasciare le famiglie, i loro affetti e
la serena vita agricola nella speranza che tutto terminasse in breve
tempo. Ma la guerra si prolungò per motivi di predominio della Germania
sulla Francia e per gli interessi intrecciati delle classi dominanti.
Entrò in guerra anche l’Italia e questo causò nuove sofferenze per
le popolazioni di gran parte dei paesi del Trentino, sfollate o
internate, in varie località lontane. Non mancarono trentini che
espatriarono in Italia e alcuni (oltre 800) si arruolarono
nell’esercito di Vittorio Emanuele III. Sullo schermo passavano le
immagini di innumerevoli fortificazioni, di ritrovamenti dei miserevoli
resti della guerra che tuttora vengono alla luce nei teatri di
combattimento lungo i confini. Sofferenze per i combattenti e per chi
lavorò duramente alla costruzione di queste opere belliche per le quali
furono
utilizzate anche le donne. Un altro filmato mostrò immagini di
repertorio di scene di guerra sul fronte della Galizia e dei monti
Carpazi con vittime nelle trincee dilaniate dall’artiglieria e luogo
di furiosi e crudeli corpo a corpo. Alla fine fu mostrata una serie di
cimiteri curati secondo le tradizioni dei vari popoli coinvolti. Il
relatore fece presente che da qualche anno la Provincia ha voluto
proporre una riflessione storica su questi fatti, così particolari del
Trentino conquistato dall’Italia. Nelle celebrazioni passate in
Trentino si ricordavano la vittoria e i personaggi eroici dell’Italia
con quelli degli irredentisti, dimenticando quasi le sofferenze dei
nostri soldati che furono mandati al fronte contro la Russia e, poi,
anche schierati per difendersi dall’Italia. Furono mostrate alcune
lettere mandate alle loro famiglie dai soldati al fronte, presenti nei
vari musei. La loro raccolta e quella dei molti diari scritti in buon
italiano sono importanti per capire le sofferenze e gli stati d’animo
dei soldati combattenti e molti come prigionieri.
Per ricordare il contributo di sofferenze di Mezzolombardo il
presidente del gruppo ANA lesse la lista degli oltre 130 soldati caduti
a causa del tragico conflitto.
Al termine la consigliera provinciale Caterina Dominici sottolineò
l’importanza dell’iniziativa per rendere onore e riconoscenza a chi
sacrificò la propria vita sui campi di battaglia per la difesa di
quella che molti sentivano come la loro patria a cui si sentivano
legati da un millennio.
Io feci presente che il kaiserjäger della locandina era di Vervò,
richiamato sul fronte in Galizia dall’inizio e fatto prigioniero dai
Russi. Di lui e di altri due di Vervò ho letto i diari della
partecipazione alla guerra e alla prigionia. In questi diari, per nulla
retorici, non ci sono gesta eroiche, volontà di vittoria: si evidenzia
lo sforzo per sopportare le sofferenze e sopravvivere e riferiscono i
momenti di solidarietà fra i commilitoni e, durante la prigionia, sono
riconoscenti all’accoglienza e al buon cuore di molte persone semplici
con le quali erano venuti a contatto.
Il titolo “Dalla guerra alla Pace” mi spinse a esprimere alcune
considerazioni personali che mi portano a considerare la guerra
un’attività dell’uomo atroce, mostruosa e per di più inutile al vivere
comune. La guerra si era iniziata per soffocare le istanze di
panslavismo che mettevano in pericolo il grande impero austroungarico.
L’Europa fu costellata di croci nei cimiteri di guerra e di sofferenze
immense per la popolazione. Ma i vari gruppi etnici dopo la guerra
riuscirono a costituirsi in un’unica nazione federata prima come regno
e poi, con altri lutti, come repubblica federale. La difficile convivenza continuò fino
al recente passato quando iniziò il periodo della dissoluzione. Anche
questo processo fu spesso accompagnato da guerre cruente sostenute
dalle nazioni pacifiche con morti, esodi di massa, odi a non finire.
Forse si può giungere alla situazione di relativa
pacificazione che segue ogni guerra senza il gravoso impegno di persone
a cui viene negato di vedere nell’altro, nel "nemico", un
fratello, ma sono portati ad uccidere per non essere uccisi: uccisi o
dal nemico o dai superiori. Con l’abolizione della leva obbligatoria i
cittadini forse si sentono meno preoccupati, ma si è visto che tutta la
società ne soffre quando ci sono i conflitti, anche i civili che non
sono sulla linea di combattimento. Le donne allora non avevano ancora
il diritto di voto ma sopportarono un grande peso per sostenere lo
sforzo bellico.
Il messaggio “dalla guerra alla pace” dovrebbe portare alla coscienza
dei cittadini la scelta del ripudio della guerra
senza sofismi e distinzioni, cominciando da noi. Più che
riconoscenza ai caduti io sento
per loro un profondo rispetto, uno struggente saluto, una richiesta di
perdono perché io e la società ancora, nel terzo millennio, non abbiamo
capito lo sbaglio di affidare alle armi di sterminio la possibilità di
convivenza fra i popoli. Dalla Grande Guerra in avanti tutti i
conflitti sono dettati da volontà di predominio che poco hanno a vedere
con i bisogni delle persone comuni.
Nel 1980 ero sul confine fra la Germania Ovest e la Germania Est a
Hohegaiss nell’Harz. Era sabato e, come il solito, arrivavano dalla
Germania Ovest gitanti che potevano vedere con grande commozione la
linea di confine poco distante dalla strada principale. Osservavano con stupore, silenziosamente, la
fascia di terra di nessuno, i reticolati, le alte reti metalliche, i
fari per l’illuminazione notturna, le postazioni di guardia nella parte
Est una strada che percorreva tutto il confine. In un piccolo museo
erano ricordati i tentativi di fuga di cittadini dell’Est verso
l’Ovest, verso la libertà spesso conclusi con la morte.
Ricordo che nella fascia della terra di nessuno alcuni soldati della
DDR osservavano le persone dalla nostra parte avvicinandosi carponi e riparandosi alla vista
con frasche. Nel silenzio io indirizzai loro grandi cenni di saluto con
le mani facendo arrabbiare mia moglie: “Tu sei sempre il solito!”. Ma
io vedevo al di là del confine due fattorie, con le galline che
razzolavano, la biancheria distesa, la campagna attorno, qualche
persona che sbrigava le faccende, proprio come succedeva
contemporaneamente al di qua. E mi chiedevo perché questi contadini
vivono una situazione di diffidenza e non possono familiarizzare.
La
robusta e spaventosa linea di confine faceva parte delle loro esigenze?
E dieci anni dopo ebbi una risposta arrivata senza guerre.
Il confine è
caduto, la Germania è riunificata e ha trovato il modo di stabilizzare
le loro condizioni economiche.
Le persone delle fattorie dell’Harz ora
avranno rapporti normali, di amore, di odio, di sopportazione per loro
scelta non come imposizione politica. La Germania ha avuto Hitler ma
per me con questa operazione si è riscattata.
Lavoriamo alla pace con la pace e la giustizia in Europa e nel mondo. La
libertà non si porta con le armi. I sentieri della pace sulle montagne,
i fortini restaurati, i cimiteri
di guerra le giuste manifestazione per ricordare questi tristi
avvenimenti possono essere motivo di profonda riflessione e portare a
un’apertura di fratellanza più che di chiusura di piccole patrie.
Quando fui sui monti Scarpazi
“miserere” sentivo cantar.
T’ho cercato fra ‘l vento e i crepazi
Ma una croce soltanto ho trovà.
O mio sposo
eri andato soldato
per difendere l’imperator,
ma la morte quassù hai trovato
e mai più non potrai ritornar.
Maledeta la
sia questa guera
Che mà dato sì tanto dolor.
Il tuo sangue hai donato a la tera,
hai distrutto la tua gioventù.
Io vorei scavarmi una fossa,
sepelirmi vorei da me
per poter colocar le mie ossa
solo un palmo distante da te.