Pietà per tutti i caduti delle moderne guerre insensate
Lotta al terrorismo o guerra di predominio?

Vervò, 19 novembre 2003 Piergiorgio Comai

Preso dal fervore patriottico Ruini pronuncia l’altisonante “non fuggiremo” dalla lotta contro il terrorismo, in parte addolcito dall’ammonimento di lottare senza odio, parole prese subito come segnale di condivisione della decisione di appoggio all’avventura americana in Iraq del nostro governo. Per quanto sta in me mi permetto di dare il mio appoggio al vescovo di Caserta, alla voce furtiva colta da un microfono in San Paolo fuori le mura (quanto dolore per nulla, mi pare), a quella dei comboniani ed altri missionari, a quella di un padre di una delle vittime che non gradiva le modalità delle celebrazioni.

Non capisco, ad esempio, l’uso del noi riferito al proposito di non ritiro dalle operazioni in Iraq. “Il governo non deciderà che il contingente italiano sia ritirato” dovrebbero dire i suoi rappresentanti; “noi desideriamo che i soldati non recedano” può dire Ruini parlando a nome della CEI o altri cittadini riuniti in associazione. Nel noi generalizzato ci sono anch’io, come tantissimi altri semplici cittadini ed autorità che non stanno sul teatro di una guerra sbagliata in Iraq. Per me è facile dire “non cederemo”, e piuttosto, visto il clima che si respira, mi risulta difficile chiedere che il contingente italiano sia fatto rientrare, cosa che mi auguro vivamente. “Not in my name” se la contrapposizione al terrorismo è la guerra infinita di Bush, Blair e satelliti.

Questa guerra viene presentata come “missione” di pace. Lasciamo che la parola missione sia riservata all’impegno dei missionari che portano aiuto e una luce di fede e speranza ai più derelitti. Il generale Angioni ci spiega che non si può parlare di “peace keeping” quando si è al seguito dell’esercito occupante; il peace keeping è un’operazione di controllo fra due fazioni in lotta, come in Libano o in Cossovo. Può darsi che qualcuno pensi al concetto di predominio della pax romana, ed allora anche questa operazione potrà essere definita di pace. Dissento totalmente dalla guerra santa per contrastare il terrorismo proclamata dal presidente Bush che “per difendere gli Stati Uniti” ha portando la guerra in Iraq ed ha pesantemente minacciato altre nazioni. Casualmente l’Iraq è ricchissimo di petrolio, fonte energetica strategica per il mondo occidentale, e, dopo le distruzioni causate dalla guerra, c’è da gestire una corposa ricostruzione che spetta agli Stati Uniti ed ai suoi supporters.

Pensando al futuro, si vorrà veramente un Iraq indipendente e libero da ingerenze esterne coattive, o un controllo sull’area del Medio Oriente? La differenza fra le due opzioni non è indifferente: una sarebbe di alto valore etico, la seconda molto utilitaria più che giusta. Non è giusto far passare la seconda con le argomentazioni che atterrebbero alla prima.

La partecipazione al dolore per il lutto che ha colpito le famiglie dei soldati caduti è grande in me, come è grande il dolore per tutti i caduti a seguito della violenza distruttiva del terrorismo e delle molteplici guerre locali che ancora imperversano, alimentate dall’odio, da interessi, non ultimo quello dei costruttori e mercanti di armi. La guerra e il terrorismo derivano dalla volontà dell’uomo, non sono eventi naturali. “Svuotiamo gli arsenali e riempiamo i granai” disse un nostro amato predecessore del presidente Ciampi: stop all wars.

p_comai@virgilio.it

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